Perché considerare la persona nella sua globalità: il dottor Giuseppe Zappalà fa il punto sull’approccio olistico che rende unica La Rocca

“Ai pazienti vogliamo garantire la miglior qualità di vita possibile in relazione alla gravità della lesione cerebrale che hanno riportato. Ma non c’è un libro che insegna a fare questo. Ogni persona ha esigenze diverse e il trattamento riabilitativo va realizzato su misura. L’Associazione Brain e la Cooperativa Sogno e Vita adottano un approccio olistico che tiene conto di tutte le funzionalità, comprese quelle all’apparenza non compromesse, per riuscire a reintegrare al meglio la persona nel suo ambiente familiare, sociale e lavorativo”. A dirlo è il dottor Giuseppe Zappalà, neurologo dell’ARNAS Garibaldi di Catania, giunto alla Rocca per il briefing periodico con l’équipe multidisciplinare di professionisti e operatori.

La collaborazione nasce da lontano. Bisogna riavvolgere il nastro di oltre 30 anni, quando Edda Sgarabottolo, fondatrice e anima di Brain, intuì le potenzialità della riabilitazione olistica che negli Stati Uniti, dove il medico lavorava, dava già ottimi risultati. Da allora di strada ne è stata fatta parecchia e oggi La Rocca rappresenta un polo di eccellenza unico nel suo genere in Italia.

Ripartire dalla persona

Qualsiasi danno cerebrale produce disfunzioni che possono investire la sfera cognitiva, motoria, comportamentale o emozionale. Ciò significa che le ripercussioni possono manifestarsi a livello di memoria, linguaggio, attenzione, movimento, manualità, controllo delle funzionalità corporee, per fare degli esempi.

“In gran parte dei centri di riabilitazione, pubblici o privati che siano, si tende a occuparsi di disfunzioni circoscritte, visibili e conosciute, più di natura vascolare, come possono essere quelle derivanti da un ictus, che traumatica – commenta il dottor Zappalà –. La verità è che le funzioni non si possono trattare come tessere di un puzzle. Ed è qui che la Rocca fa la differenza, perché guarda alla persona in quanto tale, intervenendo con un progetto ad hoc in ogni fase del percorso riabilitativo. Nel nostro gergo parliamo di tecnica tailored, cucita su misura sul paziente”.

Fra tecnologia e realtà

Non solo cura dei disturbi, quindi. L’obiettivo è accompagnare la persona nel reinserimento in società.

Il cervello può riacquisire le funzioni basilari, ma non potrà mai tornare alla condizione precedente al trauma. In tale contesto, risulta fondamentale monitorare e aggiustare il percorso riabilitativo, integrando esercizi, servizi e attività che mimino la vita di tutti i giorni – prosegue lo specialista –. Il paziente deve essere in grado di rispondere a un dato stimolo anche quando si troverà al di fuori di un ambiente protetto com’è La Rocca. Un ambiente che è reale e non virtuale”.

Il riferimento è alla realtà virtuale, una tecnologia di sicuro supporto nella riabilitazione per migliorare il controllo delle funzioni, ma con qualche limite. “Nella vita quotidiana gli stimoli sono inaspettati e bisogna saperli gestire. Ciascuno, però, parte da condizioni ed esigenze specifiche che vanno tenute in considerazione”, precisa il neurologo.

Confronto ed esperienza: le chiavi per una buona riabilitazione

Le riunioni multidisciplinari tra specialisti, che sono anche oggetto del progetto “Disabilità e Invecchiamento: supporto ai servizi domiciliari” finanziato dai fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, mirano proprio a questo: valutare come la persona risponde alle attività proposte per definire gli step successivi e, se necessario, rimodulare la riabilitazione.

“È un confronto aperto che, oltre a me, vede la presenza della logopedista, della neuropsicologa, dei fisioterapisti e degli operatori – racconta il dottor Zappalà –. Discutiamo ogni minimo aspetto. Ci chiediamo se il paziente sarà in grado di tornare in famiglia e al lavoro, cosa potrà riuscire a fare, come potrà reagire in caso di fallimento. Sono elementi su cui bisogna ragionare per tempo, con una visione ampia e avendo cura, se serve, di rivedere il lavoro che si sta facendo. Altrove difficilmente si provvede a questo tipo di riorganizzazione globale”.

Niente ricette preconfezionate. La ricerca avviene direttamente sul campo. È l’esperienza, più dei libri, a insegnare, con sorpresa di chi guarda dall’esterno.

“Anche quando si riescono a fare cose straordinarie, come il reinserimento nella società, è difficile spiegare il processo compiuto, perché influiscono fattori molto sottili, come l’aspetto personologico del paziente, che comprende la rete di individui e l’ambiente che gli stanno attorno. Di conseguenza, diventa difficile creare un protocollo”.

Chip nel cervello? No, il futuro è nelle competenze integrate

A leggere i giornali sembra che la tecnologia stia correndo in aiuto della medicina proprio in campo neurologico. È di poche settimane fa la notizia del primo impianto di un chip nel cervello di un paziente paralizzato. La sperimentazione, opera di un’azienda che fa capo a Elon Musk, punta a registrare l’attività neuronale della persona per permetterle di convertire il pensiero in comandi in grado di gestire dispositivi come un computer. Fantascienza o prossimo futuro?

“Il chip può essere un utile supporto per ripristinare funzioni basilari, legate agli organi di senso, oppure se va a stimolare i nervi periferici. Non può esserlo, invece, per il cervello che è una macchina complessa e rischia di subire danni importanti. Finora qualche utilità sembra offrirla la stimolazione magnetica transcranica che va a stimolare aree del cervello specifiche – conclude il dottor Zappalà –. Ritengo che l’operazione di Musk, oltre a essere costosa e indaginosa, sia percorribile solo a livello di sperimentazione, non in ambito clinico. Oggi ciò che serve è integrare competenza medica e non medica, ossia formare figure professionali che al sapere uniscano il saper fare. Ed è quello che Brain si prefigge proponendo corsi di formazione mirati”.

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