Da 45 anni lavora nel mondo della musica. In radio, in televisione, sulle pagine di giornali e riviste, a teatro e in serate pubbliche, la firma di Sergio Mancinelli è tra le più quotate nel panorama nazionale. Il giornalista, conduttore e doppiatore è stato tra i relatori dell’ultimo modulo del master in riabilitazione cognitiva promosso da Brain. Perché, appunto, anche di musica si è parlato. Vi spieghiamo perché.

Un interesse nato da un’amicizia

“Da molti anni ho un rapporto di fraterna amicizia con il dott. Giuseppe Zappalà (uno dei consulenti scientifici del master, ndr) – racconta Mancinelli –. Pure lui grande appassionato di musica, lo conobbi 20 anni fa a Catania. Ho assistito ad alcune sue lezioni all’università e, trovandole di grande interesse, l’ho invitato a Radio Capital affinché spiegasse agli ascoltatori cosa succede al cervello quando si ascolta musica. Io non ho competenze mediche o scientifiche ma, tramite la mia esperienza, ho potuto constatare che la musica ascoltata nell’infanzia e nella prima adolescenza nel nostro cervello è inscalfibile, anche quando sopraggiunge il decadimento cognitivo. Già gli antichi indagavano il rapporto tra musica e mente. Platone suddivideva la musica tra quella che fa bene e quella che rattrista. Aristotele diceva che la musica rappresenta la prima pulizia dell’anima dalle scorie delle emozioni. Insomma, la musica ha un potere enorme: non la guardi, non la tocchi, ma è in grado di farti emozionare. E per questo rimane impressa dentro di noi”.

La carta d’identità musicale

“Alle prime avvisaglie di decadimento, che possono avvenire anche 20 anni prima della malattia conclamata – continua Mancinelli –, assieme agli strumenti medici e scientifici è importante aggiungere attività di stimolazione musicale, perché è un ausilio fantastico, che fa scaturire il ricordo e quindi il racconto. Se si propongono, a chi non ricorda più, le canzoni della sua infanzia, si scopre che aumentano i processi di verbalizzazione. Ed è così che figli e nipoti possono avere una piccola possibilità in più di relazione con il loro caro affetto da demenza. È per questo che sarebbe fondamentale tracciare la carta d’identità musicale di ognuna di queste persone, allo scopo di riproporre loro le canzoni che ascoltavano quando erano giovani. La musica è una vibrazione, che aiuta a stimolare la mente”.

La generazione degli anni Cinquanta

“Chi è nato negli anni Cinquanta – prosegue Mancinelli – fa parte della generazione che, in assoluto, ha ascoltato più musica nella storia dell’umanità. E lo ha fatto non solo comprando dischi o musicassette, ma anche in modo indiretto, attraverso le composizioni religiose, i canti dei nonni, per non parlare degli spot e delle trasmissioni radiofoniche e televisive. Nei prossimi 20 anni molte di queste persone dovranno purtroppo affrontare il fenomeno del decadimento cognitivo ma, proprio perché si sono cibate di tantissima musica, avranno più strumenti per contrastarlo. E per gli studiosi sarà un’occasione fantastica, perché potranno analizzare scientificamente quanto la musica possa influire nel rallentamento del processo di decadimento. La musica, quindi, come palestra della memoria: è questo il mio piccolo contributo derivante dalla mia esperienza professionale ed è stato un piacere condividerlo al master di Brain”.