Questi antichi strumenti hanno fatto il loro ingresso alla Rocca per un progetto sperimentale che fa leva sulle vibrazioni sonore per rigenerare corpo e mente.

Quale miglior modo di ritrovare l’armonia di corpo e mente se non attraverso un massaggio sonoro con le campane tibetane? Un piccolo gruppo di nostri ospiti della comunità ha avuto modo di sperimentarlo alla Rocca con risultati incoraggianti. Un’esperienza richiesta proprio dai ragazzi, con l’intento di riuscire ad appropriarsi di un metodo che permetta loro di raggiungere una migliore concentrazione e, di conseguenza, migliori performance cognitive.

A far conoscere loro questi strumenti, che in India e Nepal hanno una lunga tradizione nei cerimoniali e nella meditazione, è stato l’operatore olistico Rodolfo Favaro.

“Abbiamo fatto una sorta di esperimento – spiega –. È stata la prima volta in assoluto che questa pratica veniva proposta nel centro e abbiamo visto che anche le persone con lesioni cerebrali acquisite possono trarne beneficio, pur con i dovuti accorgimenti”.

Uno sguardo al passato

La storia delle campane tibetane è tuttora avvolta da un alone di mistero.

“Sappiamo che i primi esemplari sono stati prodotti nella regione Himalayana, più precisamente in Tibet – osserva l’insegnante –. Anche la composizione di questi strumenti a forma di ciotola è dibattuta. Una delle ipotesi più accreditate fa riferimento a sette metalli, tra i quali vi sarebbe anche una piccola percentuale di oro”.

La peculiarità di queste campane sta nei loro suoni, ognuno diverso dall’altro. Questa divergenza dipende da vari fattori, come il materiale con cui sono state realizzate, il diametro, la forma, lo spessore e la modalità con cui vengono suonate.

“Di fatto, esistono due modi per suonare le campane tibetane: per battito e per sfregamento in scala armonica – prosegue Rodolfo –. Ci vuole molta perizia nello scegliere le campane in fase di acquisto, altrimenti si rischia di prendere strumenti difficili da suonare o che producono note sgradevoli, risultando inutilizzabili”.

Gli effetti delle campane tibetane

Ciò che rende uniche le campane tibetane è la loro vibrazione poliarmonica molto rilassante e in grado di contribuire a rigenerare corpo, mente e spirito.

“Producono suoni tutti straordinariamente particolari che hanno la capacità di entrare nello strato sottile del corpo, aiutando a riequilibrare le frequenze energetiche – specifica l’operatore vicentino –. A fare la differenza rispetto alla musica che siamo abituati ad ascoltare è la frequenza. Siamo infatti più vicini ai 432 hertz del suono dell’universo, anziché alle centinaia di megahertz della musica comunemente ascoltata”.

Se fossimo costantemente in linea con le vibrazioni dell’universo, migliorerebbe la nostra percezione corporea. “Lucidità, calma, osservazione e ascolto ci porterebbero alla piena consapevolezza di quanto stiamo vivendo qui e ora. Con la vita frenetica a cui siamo sottoposti non è affatto scontato raggiungere questo stato”, rimarca Favaro.

Dalla respirazione al tocco armonico

Per far assaporare i benefici del massaggio sonoro con le campane tibetane agli ospiti del centro di Altavilla Vicentina, si è dovuto aggiustare il procedimento.

“Le persone sono state messe in cerchio, sedute. I primi dieci minuti di ogni sessione li abbiamo dedicati alla respirazione consapevole attraverso la pratica dello Pranayama, propria dello yoga, che mira all’espansione dell’energia vitale – puntualizza l’insegnante –. Dopodiché ho proposto due tipi di sessioni secondo il protocollo ‘a Stella’. Nella prima le campane vengono suonate seguendo un ordine studiato, a beneficio di tutto il gruppo, mentre nella seconda sessione vengono appoggiate su ciascuno, prima sulle spalle e poi all’altezza del tratto cervicale. In questo modo si rispetta la medicina ayurvedica indiana perché toccando i punti marma si trasferiscono le vibrazioni a tutto il corpo”.

La sensazione è stata così insolita da non essere passata inosservata al gruppo.

“L’esperienza è piaciuta e non solo sul piano pratico. I ragazzi erano davvero curiosi e hanno posto tante domande – conclude Rodolfo –. Speriamo che il progetto possa essere replicato”.