“Mi colpisce sempre il grado di recupero di certi pazienti. Pur avendo una condizione di partenza molto compromessa, dovuta alla gravità dell’evento e al coma, grazie a una buona riabilitazione riescono a dare il meglio di sé e a tornare a compiere azioni più o meno semplici come camminare o guidare la macchina”. A dirlo è Paolo Cocco, fisioterapista della Cooperativa Sogno e Vita che gestisce la comunità La Rocca. Non è il solo professionista a occuparsi del recupero delle funzionalità motorie degli ospiti della struttura. Con lui ci sono anche Jimmy Comiotto e Filippo Tonello.

Fare squadra per un lavoro ad hoc

“Lavorare nell’ambito delle cerebrolesioni ti mette in discussione su più fronti – racconta Paolo –. La parte motoria, infatti, non va scissa dall’aspetto cognitivo e comportamentale. Se la parte cognitiva soffre, ciò rappresenta un limite anche sotto il profilo motorio, e viceversa. Ecco perché è fondamentale lavorare in équipe e chiedersi come poter aiutare efficacemente il paziente”.

Una ricetta valida per ogni caso, quindi, non c’è. La chiave di volta sta nel costruire gli esercizi sul paziente.

“Nella fase iniziale lavoriamo molto sull’aspetto posturale per riuscire a garantire il movimento residuo degli arti superiori e inferiori – prosegue –. Gli esercizi sono quindi mirati al raddrizzamento, a reimparare a conoscere il proprio corpo”.

Come avviene la fisioterapia

Per aiutare il paziente a recuperare la funzionalità corporea compromessa, i fisioterapisti della Rocca fanno leva sul concetto Bobath. È un metodo inclusivo e individualizzato, basato sull’approccio a sistemi di controllo motorio, in particolare sull’analisi del movimento e sull’integrazione del sistema posturale, attraverso input sensoriali, per favorire una neuroplasticità funzionale al recupero del paziente.

Lettini, cuscini, asciugamani e le mani stesse sono gli strumenti di cui si servono, accanto ad alcune tecnologie utili sia a livello cognitivo che posturale, ma anche per l’esplorazione spaziale e la coordinazione oculo-visiva.

“Cerchiamo di stimolare il paziente affinché il suo cervello sfrutti la neuroplasticità necessaria al recupero delle funzioni residue che ancora ci possono essere – aggiunge Paolo –. Vogliamo evitare che il paziente utilizzi modalità di movimento ridotte rispetto al potenziale che potrebbe rivelare, ma che naturalmente tende a crearsi con le proprie risorse. Una delle prime cose che il cervello impara, infatti, è tirarsi verso qualsiasi appoggio fisso che riesce a raggiungere con la parte sana, tralasciando così la parte lesa del corpo che tende a diventare un peso da trascinare”.

Passi avanti preziosi

Così come non si può stabilire un progetto di recupero uguale per tutti, allo stesso modo anche il numero degli interventi riabilitativi varia.

“Mediamente facciamo due trattamenti al giorno, un’ora al mattino e un’ora al pomeriggio. Ci interfacciamo con il medico di riferimento della struttura per tarare al meglio l’intervento riabilitativo, implementando attività che possono essere più o meno specifiche a seconda del paziente e della sua condizione”, conclude Paolo.

“Lavorare con pazienti affetti da gravi cerebrolesioni è sfidante, ma i risultati e le soddisfazioni non mancano. Se non esistessero strutture come La Rocca, probabilmente il grado di recupero di queste persone sarebbe ben minore”.

Paolo Cocco e Jimmy Comiotto