Un lavoro coinvolgente e motivante. Sono ricorrenti questi due aggettivi nelle testimonianze di Vittoria, Giacomo, Lisa, Elisa e Pia. Loro sono gli operatori socio sanitari che da più tempo (ci sono poi i nuovi arrivati Elisa e Vincenzo) lavorano nella comunità La Rocca, la struttura dell’associazione Brain dedicata all’ospitalità e alla riabilitazione (fisica, cognitiva e sociale) di persone con gravi lesioni cerebrali acquisite.

La figura dell’operatore socio sanitario è cruciale nel percorso riabilitativo proposto agli ospiti. Il suo operato, infatti, ha un obiettivo forte: migliorare il benessere e l’autonomia del singolo. Ciò significa non solo assistere il paziente sotto il profilo dell’igiene personale e della cura, ma anche valorizzarne le capacità residue affinché possa tornare a svolgere le normali attività della vita quotidiana. Un supporto prezioso, dunque, reso possibile grazie al costante coordinamento con l’équipe multidisciplinare.

Confrontarsi per superare le difficoltà

“Ogni utente è diverso ed evolve nel corso del tempo – spiega Vittoria Tolio, che da cinque anni lavora nella struttura, fiore all’occhiello dell’associazione Brain –. Questo fa sì che la nostra assistenza non sia mai ripetitiva e monotona, ma sempre dinamica. Certo, non è facile. Per fare un esempio, chi ha subito lesioni frontali ha tipicamente dei problemi di memoria, quindi capita che faccia le stesse domande o che noi operatori dobbiamo ripetergli le cose. Da questo punto di vista, la pazienza viene messa a dura prova, creando stress. Grazie all’aiuto della psicologa, la dottoressa Elisabetta Mondin, ho imparato a gestire queste situazioni, chiarendo agli utenti stessi quali sono le priorità di quel momento e perché non mi è possibile soddisfare subito una richiesta”.

Immedesimarsi: quando l’altro potresti essere tu

C’è un aspetto, però, che non lascia indifferente nessun operatore socio sanitario della Rocca: il fatto che la persona che si sta aiutando potresti essere tu.

“Pensi che un giorno potrebbe succedere anche a te o a un tuo familiare di subire un trauma alla testa – racconta Lisa Orlandi, che conosce questa realtà da tre anni –. Mentre una disabilità congenita è presente dalla nascita e finisce col diventare, suo malgrado, la normalità per la persona stessa e chi le sta attorno, una disabilità acquisita stravolge la vita da un giorno all’altro. Abbiamo infatti a che fare con padri di famiglia, lavoratori affermati nel loro campo, giovani che si stanno costruendo un futuro. D’un tratto si trovano a dover ricominciare e anche noi operatori ci sentiamo coinvolti emotivamente in questo brusco cambio di rotta della vita. È difficile rimanere indifferenti”.

L’importanza della relazione attiva

La strada per il recupero è ogni volta diversa. Ciascun caso è a sé, a seconda del tipo di trauma, e i risultati possono arrivare presto come dopo molto tempo.

“Oltre ad assistere l’ospite nelle sue necessità dirette ed essenziali, lavoriamo sulle sue capacità residue perché riesca a compiere in autonomia, per quanto possibile, azioni semplici come lavarsi i denti, farsi la doccia o vestirsi – aggiunge Giacomo Furlan, da quattro anni alla Rocca –. In tal senso, non ci sostituiamo all’utente, ma lo mettiamo al centro e cerchiamo di favorire quanto più una relazione attiva tra tutti i membri della comunità. L’ospite non viene considerato ‘poverino’, ma una persona come me e come te. Privilegiare la relazione significa parlare, scherzare, renderli protagonisti e vedere che, col tempo e nostra grande soddisfazione, i risultati arrivano. È il caso di Beppino che, pur sorridendo poco, all’ultima recita teatrale ha interpretato la sua parte senza lamentarsi e sfoggiando un sorriso che andava da orecchio a orecchio”.

Quando la verità è funzionale ai progressi

Il dialogo è un tratto rilevato anche da Elisa Lancetti, arrivata alla Rocca da poco meno di un anno.

“Sebbene il livello relazionale soffra di alcuni limiti, perché si tratta di persone che hanno subito una lesione cerebrale che richiede tempi di recupero a volte molto lunghi, si cerca sempre di stimolarle per far riemergere, per quanto possibile, le caratteristiche che avevano prima del trauma – osserva –. È stimolante notare in alcuni i progressi fatti, vedere che tornano a casa e ricominciano la loro vita”.

Quanto si riceve sul piano umano è incomparabile. Ne è convinta Pia Sartori, arrivata nella struttura di Altavilla Vicentina a inizio 2022.

“Non si tratta di entusiasmo, ma del fatto di poter mettere del proprio per far star bene l’altro con quello che la situazione presente mette a disposizione – commenta –. Inoltre, apprezzo molto la schiettezza con cui si parla agli utenti. Sono loro stessi ad avere bisogno di verità e, giocando questa carta, si ottiene molto di più che non con il compatimento. Mi fa piacere quando qualcuno di loro si mette la mano sul petto: è segno che ci porta nel cuore e che gli siamo amici”.

L’organizzazione conta

Sinergia potrebbe essere la parola chiave che meglio descrive la squadra degli operatori socio sanitari della Rocca. Tutti sono chiamati alle stesse funzioni e tutti vivono le stesse problematiche. Per questo, sanno chiedere aiuto e possono contare su un’équipe di sostegno forte che non li fa sentire soli. E non finisce qui: svolgono un ruolo attivo in tutte le attività proposte ai pazienti: esercizi cognitivi, fisioterapia, logopedia, ippoterapia, ortoterapia, teatro e tanto altro, seguendo sempre le indicazioni dei professionisti referenti.

Perché tutto proceda per il meglio, però, ciascuno ha anche dei compiti più specifici, decisi sulla base delle singole inclinazioni, di cui è responsabile. Ecco, quindi, che Vittoria si occupa della turnistica, Giacomo della cucina e dell’orto, Lisa della spesa e del menù, Elisa di fare il punto sulle attività settimanali di ogni utente, Pia della segreteria e di lavori manuali come il cucito.

Elisa, Vittoria e Lisa

Pia e Giacomo