“La vera sfida è valorizzare le capacità delle persone e dimostrare loro che sono ancora importanti per gli altri e per la società in cui vivono”. Va dritto al punto Riccardo Manea, educatore professionale della casa famiglia “La Rocca”. Una comunità che ha conosciuto appena sei mesi fa, ma che gli è presto entrata nel cuore. “Ne sono rimasto subito favorevolmente colpito – ci dice – perché, oltre a essere una realtà giovane e dinamica, si occupa di un campo della disabilità molto specifico, che porta con sé una consapevolezza diversa”.

Per lui, infatti, che nella sua trentennale esperienza lavorativa si era occupato prevalentemente di disabilità di tipo intellettivo-relazionale a carattere congenito (conseguenza di cerebropatie, malattie genetiche, anossie da parto e autismo), il mondo delle gravi lesioni cerebrali acquisite è stato una scoperta affascinante. Con voce calma e gentile, ci racconta perché.

Guardare oltre la disabilità

“Alla Rocca lavoriamo accanto a persone a cui la vita è cambiata in un attimo per traumi alla testa di varia natura. Questo, nella riabilitazione, presuppone una coscienza diversa rispetto a ciò che quella persona faceva nella propria vita, a quanto accaduto e a cosa potrà fare d’ora in avanti. Tradotto, significa aiutarla a fare pace con sé stessa e a ripartire, rendendola conscia che continua ad avere delle capacità, delle potenzialità e una vita sociale utili alle persone e al contesto con cui già prima interagiva”, spiega Riccardo.

Come ciascuno di noi trova nelle relazioni sociali e nel lavoro un modo per manifestare sé stesso e, quindi, per mettere a frutto le proprie capacità e i propri talenti, così anche le persone che hanno subito danni cerebrali continuano a essere una risorsa preziosa.

Dalla consapevolezza all’azione

Certo, non sempre la progressione è lineare nel percorso di riabilitazione dopo un trauma cranico. “Per quanto il progetto educativo possa essere ben strutturato – prosegue il professionista –, non può prescindere dalla partecipazione attiva della persona. In tal senso, possono alternarsi momenti di crisi, in cui l’ospite sembra non desiderare darsi un’altra possibilità, a momenti di entusiasmo in cui i risultati arrivano persino molto presto, in maniera quasi inspiegabile. Il percorso, dunque, può essere molto lungo. Tutto dipende dal fatto che la persona voglia rimettersi in gioco. Non bastano, però, le buone intenzioni, serve agire sul vero piano relazionale. Per questo è fondamentale rendere la persona consapevole del contesto in cui è inserita e di cosa può fare per quel contesto. È un passaggio chiave perché si passa dall’essere ammalati, curati e custoditi all’essere delle persone che hanno sì dei bisogni, ma anche delle potenzialità, incluse in un sistema come quello familiare o di questa piccola comunità che è La Rocca”.

In tale passaggio, si imparano anche a gestire le proprie emozioni. “Tipicamente, una persona con lesioni al cervello perde le proprie inibizioni rendendo le relazioni interpersonali molto schiette. E ciò non va sempre bene. Di qui l’importanza di far comprendere e apprendere quanto conti il rispetto verso il proprio interlocutore e il contesto in cui ci si trova”.

Cosa fa un educatore professionale

Ma cosa prevede la giornata tipo di un educatore?

Parte di un team multidisciplinare, l’educatore è una figura di raccordo tra i professionisti che si occupano della riabilitazione fisico-logopedica e gli operatori socio-sanitari che soddisfano le esigenze della routine quotidiana.

“Il mio compito è duplice – precisa Riccardo Manea – in quanto si tratta di seguire progetti sia di gruppo sia individuali. In gruppo svolgiamo attività a carattere cognitivo ed espressivo come:

  • la lettura del giornale e il commento delle notizie;
  • i laboratori artistici (pittura e teatro);
  • la terapia occupazionale (cura dell’orto, manipolazione della pasta di sale, esercizi legati alla coordinazione oculo-manuale);
  • la riabilitazione cognitiva mediante schede pratiche e altre attività.

La riabilitazione cognitiva prevede anche un rapporto individualizzato con gli ospiti sulla base delle specifiche esigenze di ciascuno. In tal senso, il mio ruolo consiste anche nell’armonizzare la programmazione giornaliera, sapendo che ci sono persone che usufruiscono dei nostri servizi solo per alcune ore, altre per giornate intere o che abitano alla Rocca per periodi più lunghi”.

Vivere le relazioni per migliorarsi

Guardando alla strada percorsa in questi sei mesi, il bilancio è più che positivo. “È confortante vedere i progressi di tante persone e come tornano a recuperare. Notare i risultati e monitorarli dà soddisfazione”, conclude l’educatore che, alla domanda se vi sia un episodio che ricorda con più piacere, risponde: “Ci sono diversi momenti buffi e divertenti. Penso, in particolare, al laboratorio teatrale. Le occasioni di maggiore relazione e inclusione sociale fanno emergere molto la loro personalità. La pandemia, purtroppo, ha limitato questi momenti, ma adesso li stiamo pian piano riprendendo. Una volta alla settimana andiamo nell’orto che coltiviamo a Cervarese Santa Croce e, ogni tanto, si esce anche a mangiare la pizza. Sono situazioni semplici, ma significative per loro”.